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GIORNATA PRIMA

Dico adunque che nella nobile e chiara cittá di Padova, la quale si può meritamente «madre degli studi» chiamare, fu, infra molti altri che colá da lontane e varie contrade, per apprendere le buone lettere, concorrono, una brigata di sei giovani scolari forastieri, nobili e d’alto cuore, de’ quali da luoghi diversi, chi per filosofia imparare, chi per dare opera allo studio delle leggi, era in quella cittá venuto. Questi nell’anno millecinquecentoquarantadue, in tempo che si suole alle fatiche degli studi dare spazio, avevano alcuna fiata in costume di raunarsi domesticamente insieme, subito doppo l’ora del desinare, a casa l’uno dell’altro; e cosi, adunandosi, per via di diporto infra di loro prendevano con vari ragionamenti in compagnia piacere, trappassando festevolmente l’ore. I nomi dei quali io non schiferò di raccontare. Il primo adunque di questi Muzio si chiamava, il secondo Emilio, Camillo il terzo, il quarto Fabio, Ercole il quinto, e l’ultimo Fulvio si nominava, assai piacevole e costumato ciascuno. Ora avvenne che, essendo nel detto anno a mezo il mese di giugno, questi sei giovani, ragunati a desinare insieme una mattina a casa d’uno di loro (percioché tutti l’uno all’altro erano per amistá congiunti), doppo che ebbero con piacere e festa quella mattina mangiato per tempo e che fúr levate le tavole, l’uno di loro, che fu messer Ercole, cosi verso gli altri prese a dire: — Signori, quale sia stata a tutti noi la festa e la piacevolezza di questo giorno nel quale ci ragunammo insieme, alcuno non credo che sia, che sentita non l’abbia. Però, dove a voi fosse in grado, io direi che non questa sola giornata a desinare e a goderci allegramente insieme dispensassimo, ma