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disiderio piú ardente ci disponiamo gli animi alle virtú, e a seguire i vestigi di coloro che in alcuna d’esse sieno stati eccellenti. Il perché l’istoria, che esseniplari avenimenti contiene, è perciò chiamata «maestra della vita», ricorrendosi, nell’ordinare le republiche, nel mantenere gli Stati, nel governare i regni, e finalmente nel fare elezione delle cose o trar perfetto giudicio se ciò è bene over mal fatto, alle memorie dei passati essempi. Il che ci dimostra quanta forza, quanta autoritá essi abbiano infra di noi. E se cosi è, come veramente essere veggiamo, io non crederò di aver fatto cosa inutile o non profittevole, se per me recitati saranno alcuni avenimenti essemplari e morali ragionamenti, in sei giornate raccontati, come si vederá, in Padova da una onesta brigata di sei giovani scolari forastieri nella calda stagione dell’anno millecinqueeentoquarantadue. Ai quali ragionamenti essendo io, tutte le volte che essi si raunarono insieme (mercé della cortesia loro), introdotto, mi parvero quei soggetti e quegli essempi tali, sentendogli, che meritassero poi di essere di giorno in giorno scritti. Nei quali, oltre la varietá degli accidenti che in essi si contengono, di che quegli che leggeranno diletto potran pigliare, altri essemplari avenimenti si vedranno negli antichi e nei moderni tempi seguiti, dai quali ciascuno utile consiglio prendendo, avrá, come in uno specchio, davanti agli occhi quello che da fuggir sia e da dover parimente imitare. Ora, se coloro che gli leggeranno sieno per riceverne utile o giovamento, io noi so; ma bene dico d’avergli io scritti a questo fine e non ad altro. Il che vorrei fosse in quella parte ricevuto, che si togliono cose simili da chi le vede, cioè a commini beneficio, conciosiacosaché nulla, per quello ch’io stimo, piú proprio e piú naturale all’uomo sia che il giovare altrui. E, se, con sano e sincero giudicio ciò misurandosi, sará preso a quei fine eh.’io mi ho proposto, e appresso, se ad alcuno peraventura l’aver letto questi ragionamenti nell’avenire giovasse, non a me, ma a Dio prima e a coloro che gli fecero rendano grazie: i quali, raccontandogli e a quegli sentire ammettendomi, furon cagione che, parendomi poi degni di essere scritti, io gli facessi communi.