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il racconto ch’io ti feci dei nostri guai l’anno passato, la cui memoria vi fa fremere, non ti piacque punto, cioè non ti piacque il modo con cui riacquistammo questo caro figlio, il qual modo se non era così violento, egli era perduto per sempre, ed a quest’ora era già disperato in compagnia di una miserabile di beni di fortuna e di spirito e di corpo. Ma queste son cose assai difficili a farsi comprendere per lettera senza fare un racconto eterno, solo ti dirò che papà mio è uomo di senno e di coscienza grande, e sa bene come va operato a questo mondo. Ora il più felice di tutti noi è questo caro figlio, il quale in breve sarà consorte di una bella e virtuosa giovane, che reputa fortuna grande l’entrare in casa nostra, stante il lieve numero di scudi che porta. Marianna mia, vedi come abuso di tua bontà, dell’amor tuo. Oh abbracciami, io ne ho gran bisogno. La vita mia è sempre una morte, senza mai morire, e senza avere mai vissuto. Abbraccio la cara Nina, la quale oramai non conosco più. Chiedo al papà tuo anch’io quella benedizione che ogni sera versa sulle dilette sue figlie, e bacio e ribacio con immenso affetto la mia Marianna.
PS. — Oh perdono, perdono per questa infame carta che certo non adoprerò più. La Corradi è più viva? o la febbre gialla se l’ha divorata? Terrò sempre come cosa carissima la piccola carta dei tutto quello che mi fanciulli poveri di Madrid, vien da te, è per me cosa sacra. Il cachet della tua lettera indica che hai valicato i mari, quel cachet mi ha fatto piacere,