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LXVI.

ALLA STESSA

a Lisbona

7 luglio (1836)

               Marianna mia,

Ieri fu un giorno di vera festa per me, festa tanto desiderata e sospirata che non ne potea più. Oh come mi giunse cara la carissima tua lettera, oh come me la strinsi al cuore, come la baciai, come avrei voluto baciar te, o mia diletta, e la cara Ninì! E mi pareva leggendo le tue parole aver notizie di mia famiglia, da cui era divisa da tanto tempo, e da tanta immensità di spazio. Quando ricevei l’ultima tua di Vicenza in cui mi annunziavi la prossima tua partenza per costi, detti in uno sbotto di pianto e non vi era cosa che valesse a consolarmi al pensare che il mare ne dividerebbe, al pensare che i miei cari andavano a fare una navigazione nel tempo più procelloso dell’anno al pensar ch’io dovea stare in una incertezza orribile una infinità di giorni. Poi ogni vento che soffiava (e ne soffiarono grossi assai) io palpitava e piangeva per voi, care anime, e vi raccomandava a Dio, non potendo fare altro di meglio. Ora poi ho inorridito al racconto che mi fai di quanto hai sofferto nella traversata, e inorridisco al pensar che ti ci esporrai di nuovo. O Marianna mia, che