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sentii vero il chelera di Nizza, e pensai a te, Marianna mia, che dovevi andare verso quelle parti. Oh certo io non avrò pace finchè non mi dirai: non andiamo più! e allora, dopo il piacere, la gioia che ne sentirò, penserò alla perdita che farai di quel danaro, ma pazienza, è quello un pensiero assai più sopportabile.
Non ti dirò niente della tristezza infusa dal timore del cholera: già non si deve aver paura, e per me io non l’ho, perchè il morire non mi spaventa, mi spaventa bensì il veder morire. Ma pensiamo ad altro. Diamo addio alla Pantarelli e alla graziosa sua Alaide, e crediamo pure di non vederla più, già mostrano di avere poco giudizio. Era male se avessi lasciato il tuo cuore a Ravenna, ma giacchè l’hai riportato tutto con te, va bene. Certo, vorrei insegnare io a quel signorino di non venire più a disturbare le ragazze colle sue confidenze, si vede bene ch’ei non conosce il mondo, o che non sa leggere negli occhi tuoi; i miei non avrebbero saputo nascondere il ribrezzo che quei discorsi mi cagionavano. Fa che papà riprenda le sue forze, fallo mangiare un pochino di più, salutamelo tanto tanto assieme con Mamà e la cara Nina, e tu, mia carissima, vieni ch’io ti bacio con tutta l’anima mia. Non andare a Genova, per carità.