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vacità del carattere, tutta assorta in altre speranze più tranquille e non terrene, parve dimentica di tutto, e si levò a difendere quelli stessi che prima aveva accusati. Però negli anni giovanili vivamente e pur giustamente ella aveva protestato contro l’aspra schiavitù in cui era tenuta. Non le si permetteva di uscir mai di Recanati, tranne le poche volte in cui portavasi coi genitori a visitare la santa casa di Loreto. Le era interdetta ogni corrispondenza, anche con donne, e per iscrivere alle Brighenti doveva ricorrere all’inganno, facendosi complice il buon Sebastiano Sanchini, il quale riceveva le lettere dirette a lei e gliele consegnava poi di notte tempo nella biblioteca, quando tutti dormivano, con gran mistero, quasi si trattasse d’una congiura. Le Brighenti eran venute nel 1831 a Fermo, a poche miglia da Recanati, e Paolina, che pure avrebbe desiderato ardentemente di vedere una volta almeno le amiche, è costretta a scriver loro che, se anche fosser venute nel suo paese, nè alla chiesa, nè dalla finestra avrebbe potuto scambiare un solo sguardo con esse.

«Con una menomissima parte di quella libertà che godono tutti quelli che vivono, scriveva, io godrei almeno un momento