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XLVIII.
ALLA STESSA
a Bologna
20 Febbraio (1834)
Marianna mia,
Ambedue in una volta ho ricevuto le tue ultime di Livorno: esse mi hanno consolato assai, chè mi hanno dato prova dell’amor tuo nei lamenti che mi facevi perch’io non ti scriveva. Ch’io possa disgustarmi teco, oh non lo creder mai, o cara; già sai in quanta venerazione ti tengo, e quanto cara cosa sei per me, cui mi è d’infinita dolcezza il pensare ogni momento, il baciare assai di sovente il tuo ritratto, il parlare con lui non potendo coll’originale, ma quello non mi risponde mai, e non mi ha detto mai una parola sola, per quanto io lo preghi a dirmi almeno se mi vuol bene.
Oh sono disgraziata assai!
Sommamente care mi sono state le buone nuove delle tue fatiche, le quali vado sempre via via leggendo nei fogli, con qual giubilo puoi bene immaginarlo. E vorrei che tu vedessi il cambiamento di colore e il palpito che mi assale quando vedo un nome amato, e leggo i suoi lieti successi; oh allora sono veramente felice. Ora però riposerai Marianna mia, e ne avrai bisogno davvero, ora