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XLV.

A MARIANNA BRIGHENTI

a Bologna

16 luglio (1833)

               Marianna mia,

Tu mi hai talmente avvezzata ai tuoi successi, ai tuoi trionfi, che essi non mi giungono più nè nuovi nė inaspettati; ma non posso dire però che non mi sieno sempre carissimi e non mi commovano grandemente, no, non lo posso dire, che la fortuna della mia amica sarà sempre la mia fortuna, e la tua felicità mi valerà più della mia. E tu devi essere felice, Marianna mia, devi sentirti la vita assai leggiera, quella vita che ti passa tra i plausi, tra la contentezza di vedere che tutti ti lodano e ti ammirano, di vederti amata da tutti, deve scorrere assai leggiermente, dev’essere una vita deliziosa.

Ma io ci perdo, ci perdo assai, chè tu non mi parli più della Brighenti, non mi racconti più la sua vita privata, non mi metti più a parte dei suoi pensieri, degli affetti suoi, ma solo mi descrivi la sua vita pubblica, quella soltanto che è nota a tutti per via dei giornali (anche il corriere delle dame ha descritto la tua beneficiata in Arezzo). E quello che rende la mia condizione più triste si è che non me ne posso lamentare, comprendendo