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Marianna mia, quel signore di Fermo che miparlò di te con grand’elogio, è un certo Papalini. Sembra giovine colto e di buona apparenza, intendente di musica, ecc. Dico, sembra, ma io l’ho veduto una volta sola. Mi dirai poi se l’hai conosciuto.
Può essere che qualcuno abbia saputo piacermi, senza però ch’egli il volesse, e quasi anche senza che me ne curassi io, ma già te l’ho detto che fu cosa momentanea, e proprio venuta in tempo per aiutar la mia ragione a prendere il miglior partito, quello che mi conveniva, e cui non mi pentirò giammai d’aver preso. Fu un istante solo, furono pochi minuti, io gli dissi addio, e non sapevo chi era. Se io ti dicessi che non so di dov’è (egli è forestiero), e non mi curo di saperlo, ho gran paura che mi tratteresti da romanzesca, ma non è vero. So che non lo rivedrò più, ma non credere che sia con gran dolore, no, perchè la testa viene in aiuto del cuore, e gli fa intender ragione. Sono sicura che la tua testa è migliore della mia, e che gioverà a te benissimo se vorrai, e se no serviti di un’altra testolina che hai vicina la quale pensa... pensa tante cose... poi sospira — ma io credo che sogni. Addio, non ci vedo, addio. Tu sei la mia cara Marianna.
9 settembre.
Nina mia!
Finalmente tu mi scrivi, ah! ne sia ringraziato Iddio! Oltre il piacere che mi dai, facendomi