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tuo consiglio. Perdonami, o cara, ma se io parlassi con te saresti certo del mio parere, e diresti che ho fatto bene a ricusare quel tale che mi voleva. Quello che dici, che le azioni e le virtù formano il più bel cognome, va bene; ma, se io non avrò per marito uno del mio grado, che conti, come dici, i quarti di nobiltà che ho io, almeno dovrà essere uno che per i suoi talenti, per il suo ingegno, per le sue azioni si sia fatto un nome, non uno di cui debba arrossire ogni momento, ogni volta che parla mi ami egli pure quanto vuole, non è affatto certo che io possa amarlo, che possa amare una persona tenuta da tutti per meschina in ogni genere: l’amore di una tal persona non ha nessun pregio agli occhi miei perchè io non posso nè stimarla nè amarla — e se un’occhiata della persona amata compensa di tutto, se, come dice la Staël, questa occhiata è una felicità tale che pare non vi sia forza per sostenerla, e bisogna chinare gli occhi, bisogna ch’essa sia realmente amata di fatto e non di solo diritto. Ora, Marianna mia, quel signorino è di un ingegno oscuro come il suo nome! Ma non ti ho detto che i suoi compagni lo motteggiavano e che perciò egli non se ne è allontanato: non ti ho detto che si fece mettere in ridicolo tempo fa per un ricorso ch’ei fece contro una inferocita giumenta; non ti ho detto che pochi giorni sono mio fratello mi parlava con disprezzo di lui raccontandomi alcune cose che gli aveva detto qualche momento prima ed erano tutte sciocchezze, e mio fratello non sapeva niente del mio affare, non ti ho detto tutte queste cose, o non le credi?