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le mie compagne. Mi sarebbe forse toccata miglior sorte? soggiunse la Paglia; le mie sorelle furono ridotte in fumo e fuoco dalla vecchia; ne ha preso sessanta in una manata e tutte annientate; per buona fortuna potei sguisciarle di mezzo alle dita! — Ora che dobbiamo fare? disse il Carbone. — Io penso, rispose la Fava, poichè siamo così miracolosamente scampati dalla morte, di far comunella ed affinchè più male non ci capiti andarcene in altro paese. — La proposta piacque e tutti insieme si posero in cammino.

Tosto giunsero ad un piccolo ruscello, e siccome non vi erano ne ponte, nè passatoi non sapeano come attraversarlo. Un bel pensiero venne alla Paglia; — io mi porrò, disse, attraverso il ruscello, e voi, come sopra di un ponte, potrete trapassarlo. — Detto fatto, si pose in modo che colle estremità toccava le opposte rive ed il Carbone, che di natura focosa era, subito audacemente si mosse sul nuovo ponte. Giunto al mezzo, e sotto sentendo rumoreggiar l’acqua s’impaurì, rimase fermo e più d’andare innanzi non si fido. La Paglia prese fuoco, si ruppe in due pezzi, e cadde nell’acqua; vi cadde anche il Carbone, sibilò e si spense. La Fava, la quale prudentemente era rimasta alla riva, ciò veduto cominciò a ridere in un modo sì sgangherato, che non potendo più trattenersi scoppiò. La sarebbe finita anche per essa, se per fortuna non fosse capitato un Sarto il