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voglia al Gatto di assaggiarla, e così disse al Topo: mia cugina mi pregò di far da compare, ebbe un gattino bianco picchiettato di nero, permetti che io vada quest’oggi a tenerlo a battesimo; abbi tu cura della casa. Sì, sì, rispose il Topo, va, sta allegro e se mangi qualche cosa di buono, ricordati di me. Oh! come assaggerei volentieri anch’io un zinzino di quel vin rosso dolce che bevesi quando si fa battesimo. — Non era vero quel che diceva il Gatto, non aveva cugina e nessun lo pregò di far da compare. — Andò difilato in chiesa, corse di soppiatto alla pentola, si mise a leccare e leccò tutta la crosta. Indi, fatta una passeggiata su pe’ tetti della città, approfittò dell’occasione per isdraiarsi un po’ al sole, e quando pensava alla pentola si leccava i barbigi. In sul far della sera ritornò a casa. Sei già di ritorno? disse il Topo, me lo immagino, sarai stato molto allegro.

— Si, tutto andò bene.

— Qual nome avete posto al neonato?

— Crostavia, rispose secco secco il Gatto.

— Crostavia! È un nome bizzarro e strano, si usa in quella famiglia?

— Chè, chè! È forse più brutto di Rosicchiapane, come appunto chiamasi tuo figlioccio?

Poco tempo dopo, il Gatto ebbe di nuovo le medesimo voglie; disse al Topo: caro amico, hai da farmi un piacere; ancor una volta devi tu solo aver cura della casa, fui pur pregato di far da compare, ed avendo il