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54 | viàggio d’un pòvero letterato |
avessi detto: «come avete fatto ad ammalarvi?».
Mimì disse con santa semplicità: — Vi sono adesso tante donne che scrìvono, tante poetesse! poetessa A***, poetessa B***, poetessa C***....
Era arrivata alla G***, all’N***, alla V***.
— Ci posso stare anche io.
«Capisco — dissi fra me — , è un caso di infezione»: ma volevo dirvi questo: che avrei preferito lèggere le memòrie della vostra vita. Per esèmpio, la stòria di quando mi avete fatto ballare sopra un quattrino, passare dal bagno russo alla dòccia fredda. Sapete che sarebbe riuscita una stòria interessantìssima?
— Come siete cattivo! Sapevate bene che in quegli anni ho avuto il tifo, che mi sono caduti i capelli....
— Ah, si chiama «tifo» quel servire un pòvero ragazzo ora cotto arrosto, ora in salsa rifredda? Si chiama tifo?
[In fondo, sì! Mimì aveva ragione, si chiama «tifo», che alla lettera vuol dire «instupidimento». Che colpa aveva Mimì se un ragazzo di vent’anni, tenuto alla catena in collègio per sette anni, dove aveva mangiato tutte le romanticherîe possìbili, un bel giorno va a bàt-