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52 | viàggio d’un pòvero letterato |
èrano ancora le sue belle mani, i suoi occhi èrano ancora i suoi begli occhi tondi, i suoi denti èrano ancora quei pìccoli aguzzi denti che ella scopriva in modo delizioso.
Però il condimento non c’era più! Il feroce tempo, o Mimì, ti aveva ravvolto i polpastrelli della sua invisìbile mano attorno al collo. È lì, vedi, Mimì, dove il tempo prende le donne e stringe il dolce stelo della loro bellezza. Esso, sì, strozza, e non si scherza allora più, come tu con me quella sera d’inverno sotto il palazzo Bentivòglio, Mimì. «Ah, io non ho veduto in voi che un poco di fèmmina condita bene! — dissi fra me. — Io ho veduto l’inferno, il purgatòrio: e il paradiso me lo avete fatto sospirare. Del resto può darsi che voi abbiate ragione. Mercè vostra, o pìccola Mimì, il mondo era allora per me tutta una appetitosa vivanda ed io non domandavo a Dio che una gran bocca per farne un ùnico boccone, voi compresa, Mimì. Ma oggi soffro di nàusee.»
— Cara signora — dissi, — cambiamo argomento. Voi avete detto ieri sera che avevate bisogno di me.
Esitò alquanto. Disse: