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vii. - Che cosa voleva Mimì | 47 |
e i mòbili. Il cristallo della toilette era ingombro di tutte quelle delicate suppellèttili che sèguono la donna come gli zeri alla destra di una cifra.
— Che cosa guardate, che cosa guardate? Piuttosto dìtemi, come mi trovate?
— Come vi trovo? Ve l’ho detto ier sera: bene.
— Ah, non è più la Mimì di una volta.
— Sinceramente, siete un prodìgio di conservazione.
Sorrise un po’: — Sapeste (e mi chiamò per nome), che paura ho di morire! Pensate; dover morire....
— Mah! È una cosa che càpita.
— Non lo dite per carità.
— E allora non diciàmolo. Ma, se io mal non ricordo, voi, Mimì, una volta, avete tentato il suicìdio.
— Una volta...!
Lei era piccina e ci stava a suo àgio nella stanzetta. Io? Non so perchè, soffocavo. Guardavo i ritratti.
— Chi è quello lì? — domandai.
— Il pòvero, grande Garavàglia!
— E quello?
— Il pòvero Alfredo Cappelli, il grande tràgico! ed un nòbile cuore sapete!