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vi. - Kara-kiri 41


Questa cosa, a pensarci bene, depone in favore della mia precoce imbecillità, ma può èssere istruttiva, e perciò parlo di me. Io esprimevo tutto il mio amore decretando di fare kara-kiri. Non potendo farle omàggio di una collana di brillanti, le facevo omàggio di me stesso, mi immergevo nel ventre il jatagan del matrimònio; mi sposavo, in una parola, e tutto ciò con la impassibilità con cui i Samurai fanno kara-kiri in onore del loro Mikado. Certo non dissi allora: «Mimì, io fàccio kara-kiri per te!» perchè queste cose avvenìvano molti anni prima della guerra russo-giapponese, e il Giappone non era molto conosciuto. Ma dissi a Mimì: «Ti sposo!» cioè ti faccio omàggio di me stesso. È un modo di manifestare l’amore sui venti anni, e ciò è accaduto anche a persone meno imbecillite di me.

Senonchè Mimì rimase così turbata di trovarsi coinvolta in un fatto di tanta gravità, che rifiutò. Un’onesta fanciulla, in fondo: una onesta, una non comune fanciulla.

Ella era, allora, una pìccola pàllida sartina, precoce, venuta al mondo con due enormi tondi occhi colmi di curio-