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v. - Bologna di notte | 29 |
sca, che si fàbbrica in quella città?... No, io non la berrò! Un gelato, allora! Ma sapeva di melassa, quel gelato.
Guardavo attorno. Giovanotti eleganti, uòmini grigi e bianchi, teste chiomate e crani pelati, frammisti a donnine galanti ed eleganti, sotto la luce bianca delle làmpade elèttriche, presso la gran distesa delle tàvole imbandite, sedèvano, si movèvano, conversàvano con amàbile tranquillità. Ma è notte! «Fàcere de nocte diem, far del giorno la notte — mi disse il dottor Balanzone — bononiense est, è cosa bolognese. E poi non vedi? È finito da poco lo spettàcolo, qui presso, all’Arena del Sole.»
Probabilmente sono andato via io.
«Non ti ricordi — dissi a me stesso — la gran passione che avevi anche tu pei drammi su la scena?»
Chiusi gli occhi e la rividi ancora la Arena del Sole, data agli spettàcoli diurni, in un pulvìscolo d’oro e di pòrpora. Tutte le gradinate gremite di donne in pepli bianchi. Intensi silenzi, grida per l’anfiteatro alla passione del dramma. Ma poi, calato il sipàrio, negli intervalli, era tutto un rosicchiar tranquillo di brustolini. Ma allora io non sentivo il
A. Panzini. | 3 |