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iii. - Il mattino a Vicenza 19



Oh, dolce Vicenza! me ne sta tuttavia la visione nel cuore. La città dormiva ancora, e il tram mi faceva passare davanti agli occhi un’armonia di case, casette antiche, istoriate, scure, adorne di bìfore ed archi; e infra mezzo festoni di verdura, e tronchi schietti sorgenti, con la pompa delle chiome verdi su nel gran sereno; e poi acque verdi correnti; e gerani, gerani, fiammanti gerani, come una giovinezza della natura che sorride sui neri balconi. Tutti balconi fioriti. Una giovinezza e una decrepitezza in caro abbracciamento. E stando il tram fermo per qualche minuto, mi affissai nella chioma tonda di un pino che campeggiava nel cielo: e insensibilmente mi parve che si movesse per ritmo di danza, come una fèmina. Eppure l’ària era senza vento.

Sorrisi di letìzia naturale. Oh, Itàlia! Vicenza, cara città itàlica! Ma per capire la ragione di questa mia letìzia, bisogna considerare come io avessi lasciato poche ore prima Milano: Milano enor-