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18 | viàggio d’un pòvero letterato |
penosamente oscillante, che mi fa dubitare se la morte sia interamente la morte o se la vita sia la morte. Certo lui non è più. Ma perchè così cupa è l’imàgine tua, caro fanciullo? Fosti così ridente nei dieci anni della tua breve vita! Ed anche la madre mia non è più. Ella, invece, non è cupa imàgine: talvolta mi sorride, non so perchè; mi sorregge ancora, mi par di sentire queste parole: «Su, coràggio!».
Certo però quei capelli grigi sono voluti andar dietro a quei mòrbidi rìccioli biondi. Ah, sole, sole, tu non le essiccherai facilmente queste lagrime!
La vòglia di salire ad Asiago era tutta scomparsa.
Non c’era nessun treno allora in partenza; perchè quando insorge questo spàsimo convulso del dolore, sento una necessità di fuggire, fuggire.
Ma ecco per ventura giunge un carrozzone giallo, vuoto, del tram elèttrico.
Salgo. — Dove va questo tram?
— Il tram attraversa Vicenza — mi si risponde — e poi ritorna ancora alla stazione.