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xxi. - L'alloro ed il cipresso | 241 |
in testa e reclamò il dottore sùbito per la sua donna che «urlava come una bèstia e la scottava come il fuoco».
— Ora vengo — gli disse il dottore e a me disse sorridendo: — La sòlita ipèrbole romagnola. E sono romagnolo anch’io!
— Ma tu non bevi vino! — disse la signora.
Così presi commiato dal dottore, dalla buona signora, da Iris, da Eros.
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Il fiaccheraio era pacificato. Passammo davanti al cimitero di San Màuro: una gran massa scura di cipressi. Ma il fiaccheraio non se ne accorse; nè parlò parola.
Parlarono i cipressi e dìssero: — E il cipresso è uguale all’alloro! —
Era oramai il pieno mezzodì, l’ora in cui il Dio Pan va per i campi.
Ma forse il Dio Pan o il Dio Apòlline, al cui giudìzio io mi ero rivolto per corrèggere i giudizi degli uòmini, non sono anche loro, come la Glòria, mai esistiti.
E il cipresso era uguale all’alloro!