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xxi. - L’alloro ed il cipresso | 233 |
vi do, oggi, o pòpolo, da mangiare per niente!» dicea. Bene gli uòmini le gettàvano parole salaci. Ma ella teneva fronte a quei motti, e pur non cessava dal contare il rame ed il nichel su le pìccole palme, limate dall’acqua del mare. — Va là, Marcòn! — disse quand’ebbe finito: e lanciò la sua rozza, disperata lei e la rozza, pel lungo viàggio nell’arsa campagna.
«Poeta? che cosa suona poeta e casa del poeta fra questa gente?» dicevo fra me.
L’ombra del fiaccheraio, allora, mi si appressò.
— Se lei — disse delicatamente, e con bel garbo — se lei si ferma molto per i suoi affari....
— Vi ho già detto che non ho affari....
— Insomma, per quello che ha da fare. Non vòglio sapere i suoi interessi....
— Ebbene?
— Stacco la bèstia, e lei mi trova qui all’osteria. Màngio un pezzo di pane....
— E pigliate un altro aperitivo, — dissi. — Va bene. Ed ecco il franco per l’aperitivo e pel pane. È questo che volevate dire?
Questa volta ci eravamo intesi: non però pienamente; chè lui parve dire: «lei