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226 | viàggio d’un pòvero letterato |
degli uòmini. Cantava le ròndini, i nidi, l’erba cedrina, le stelle, i pianeti, le rose, le cose mìnime e immense, ma senza mai nominare gli uòmini, così che l’idìllio era quasi doloroso e pauroso: cantava con uno stupore sacro, con un procèdere sgomento quasi che paventasse di svegliare l’òcchio feroce della Natura: la misteriosa sfinge della Natura. Anzi egli la lodava, questa Natura, nell’ape, nelle rose, nelle ròndini, nelle stelle: la diceva pietosa e buona. Ed il suo canto era sìmile al susurro delle andrene che egli vedeva sopra la tomba della fanciulla; e vedeva anche la fanciulla là sotto la terra e la chiamò beata, perchè pura di vite create a morire.
La infantilità dell’idìllio diventava ben tràgica! Più tardi, è vero, egli nominò gli uòmini che camminàrono nella stòria; ma essi èrano senza variazione di stòria; ed èrano piuttosto ombre che uòmini, i quali dalla guerra della vita andàvano verso una grande purificazione.
Il Dio Apòlline, o Pan che fosse, aveva inoltre data al poeta una sampogna, che è un primitivo istrumento pastorale, ma così sottilmente lavorata con lima d’oro e formata di così preziosa matèria