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di altìssime pioppo frondose. È una grande azienda agrìcola oggi, la Torre.

«La Torre! la Torre! la Torre!» Questo nome ricorre nelle poesie di Giovanni Pàscoli con un suono di spàsimo e con l’insistenza di un’ossessione. «La Torre!» e nulla più, come se i lettori sapessero che cosa è la Torre.

Il padre del poeta, signor Ruggero Pàscoli, era ministro di quella tenuta, e abitava con la numerosa famìglia nel palazzo della Torre. Era uomo di molta gentilezza d’ànimo e di gran rettitùdine, della quale virtù, così — diciamo — pericolosa, è anche testimonianza una làpide che il principe Don Alessandro Torlònia fece apporre nella chiesetta gentilìzia della Torre in memòria di quel suo fedele ministro, e — parrebbe — ad ammonimento altresì del futuro.

Ora un bel mattino d’estate dell’anno 1865, il signor Ruggero Pàscoli partì dalla Torre: baciò i suoi piccini, che èrano tutti piccini. Andava a Cesena in carrettino per affari. Sarebbe tornato la sera: ai bimbi avrebbe portato bei doni: alle bimbe belle bàmbole.

Andò, tornò, ma non rivide la sua famiglìa.