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210 | viàggio d’un pòvero letterato |
gistro! Allora non avvèngono più tradimenti; allora si cammina ben lieve!».
Invece io per effetto di quella casetta sono inscritto fra i proprietari del mondo. Ma noi non siamo proprietari di nulla!
Ma pensare che bizzarra cosa! Fino a un certo tempo della vita noi lavoriamo per legarci alla vita, fabbrichiamo case, compriamo terre, piantiamo àlberi, piantiamo figliuoli, e con che entusiasmo! Si crede nella glòria, nella làmpada della vita; v’è chi crede nella civiltà, nella filosofìa e in altri zuccherini della ragione. Poi viene un momento che desideriamo di èssere slegati. Allora si comprende, e ci si meravìglia. Ma, dunque, noi possedevamo un’enorme provvista di volontà di vìvere! Dove era questa volontà occulta? Per fortuna che questo desidèrio di èssere slegati dalla vita viene a pochi, se no sarebbe un affare sèrio, anche per il fìsco. Tutti andremmo dietro a Cristo.
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Mi era grave, per tutti questi motivi, ritornare alla casetta di Bellària. Eppure era necessàrio. D’altra parte in quella città non volevo rimanere.