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196 | viàggio d’un pòvero letterato |
sua automòbile. Ebbi una gran vòglia di scagliarmi contro, tanto più che io lo conoscevo da bambino, e lui conosceva me: mai però ci eravamo salutati.
Io ero ricco, ma a piedi; lui era ricco, ma in automòbile.
No, non adiriàmoci — dissi fra me — ; oggi è il santo giorno della mamma. Comprerò le pesche meno belle; comprerò questa bella angùria zuccherina. Essa piace molto alla mamma.
«Non avete servo che vi porti queste cose?» chiese la venditrice.
Io ero ricco, ma senza servi. Porterò io.
Ora comprerò i dolci: i più fini, e squisiti, a qualunque prezzo, perchè io sono molto ricco.
Ma la pasticceria è ingombra. Quante dame eleganti, delicate, che sùcchiano i dolci, e ingombrano tutto il posto davanti le vetrine! Sono tutte smancerose, tutte altere; e quanti gentiluòmini con quelle dame, e nessuno si muove per farmi posto! «Io sono ricco; fàtemi posto.» «Ma voi non siete dei nostri.» «Ah sì, io non sono dei vostri! Mai dei vostri! Voi siete i nuovi arricchiti! Gentilezza è oramai l’esser plebei!» Via, non adiriàmoci: il dolciere mi servirà