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194 | viàggio d’un pòvero letterato |
operai, si mangiano la parola, questa miseràbile gente, per un centèsimo di più di guadagno! Non le aveva neppur cominciate, le scarpe! E partimmo così in ritardo. Vederlo pàllido così, pòvero bimbo, e trascinare quella spècie di ciabatte, mi dava una irritazione sorda, insensata.
«Ma sta ritto almeno!» io diceva.
La città era in festa. Passàvano altri bimbi, fiorenti, gai, con le scarpe nuove. «Ma sta ritto almeno!» E.... e lo toccai appena; ma feci atto di percuòterlo lì, fra la gente. Lui si fermò lì, fra la gente, avvilito. Il mazzo dei fiori per la nonna, gli cadde
«Su, su via, sii buono. Lo sai che bisogna camminare dritti, forti, fra la gente, e con la testa alta! Ora ti comprerò molti dolci».
Era tardi, e lui camminava senza avvedersi della sua goffàggine, trascinando quelle orrìbili scarpe senza tacco, che lo facèvano sembrare anche più piccino. Quelle abbominèvoli scarpe mi plasmàvano nel cervello l’idea fìssa d’una misèria ereditària, inguarìbile. «E poi e poi, se ti occorrerà dar dei calci, come farai con quelle scarpe?»