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xvii. - Il rèduce dalla guerra | 189 |
nose, era stipata di avventori: odori di pesce fritto, di ragù, di gente in màniche di camìcia. Ma i camerieri èrano in frac perchè quella città è l’Ostenda d’Itàlia.
Trovammo un po’ di posto presso una tàvola dove sedèvano due preti.
Ci fùrono finalmente messi innanzi tovaglioli con impronte di altre bocche, pane e vino; poi il cameriere recitò la lista delle vivande nel più orrìbile gergone poliglotto: «maccheroni al graten, patate mascè, entrecôts, guylasch», perchè oltre che di Ostenda, quella città sa un po’ di ungherese, d’estate.
— Presto, militare, perchè c’è molta gente da servire.
Venne portato non so quale cibreo, ed il militare mangiava lento e svogliato in tristezza di cuore.
Nemmeno i due preti badàvano a lui, e la bandierina era invano affissa su l’elmetto. Un frèmito, un singulto d’affetto per quella bandierina, mi agitava.
I due preti mangiavano tagliatelle col ragù. Ambedue avèvano aspetto campagnuolo. L’un prete era poderoso, giòvane, nero. L’altro era un flòrido uomo d’un colore biondìccio, e il sudore ca-