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188 | viàggio d’un pòvero letterato |
vidisse iacentes Dum sanctis pàtriae lègibus obsèquimur? Come potremo, signor capo, se le leggi non sono sante?
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Ho seguito il militare in quella città dove avevo deliberato di non fermarmi. Perchè? Non so. Avrei voluto parlare al soldato, confortarlo e non lo feci. Mi pareva che avesse dovuto dirmi tristi, amare cose, e io non avrei saputo che cosa rispòndere. Ero sconfortato anch’io. E allora come si fa a confortare?
Lo seguii tuttavia.
Andava a capo chino, avvilito. Le automòbili erano partite. I fiaccherai non degnàvano di offrire la loro vettura al soldato troppo in brandelli.
Due o tre lùridi ragazzacci, qualche megera si offriva per indicargli una bèttola, un luogo dove riposare.
Ma lui faceva gesti larghi di rifiuto e diceva: — Mafisch!
Si fermò ad una porticina dove era scritto: Trattoria. Esitò, ed infine entrò. Entrai anch’io.
Era già mezzodì: la trattoria con tante tàvole strette, con tutte le tovàglie vi-