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xvi. - Pax tibi, Marce, Evangelista meus 169


Dovetti interròmpere. Era mezzodì ed andai a far colazione.

Colazione econòmica in una vècchia trattoria, in una vècchia calle: fondi di carciofo e zuppa di pesce.



Ora due (vecchio stile). In gòndola. Dissi al vècchio gondoliere: «Girate per i canali più brutti; non attraversate il canalazzo; non date spiegazioni».

Una lieve frescura aleggiava su le acque; e dalle acque morte parèvano venir fuori le spirali turchine, o gialle, che gìrano intorno ai pali, ove si fèrmano le gòndole. Dai neri palagi pèndono fior di nastùrzio. Il ferro lucente della gòndola procede con l’ondulamento di una sottile testa di serpe. La gòndola va stranamente ràpida nella sua silenziosità; e par che vada da sè perchè il motore — il remo — non si vede, nè se ne ode il tonfo. Solo, ogni tanto, la voce del gondoliere si eleva nel dare il richiamo allo svolto dei rii. Ha suoni cupi, plàcidi, imperiosi. Strano! Mi pare tutt’altro suono del ciacolàr veneziano! Sopravvìvono le voci di Marco Polo, latino;