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dissero: «Daniele Manèn, nun sàccio» àbbiano aspetto di gentiluòmini: però mi pare che la Serenìssima Repùblica di Venèzia, collocando queste làpidi in buon dialetto, provvedeva con onestà all’istruzione del pòpolo. Inoltre consegnando il nome ad infàmia su làpidi di marmo con la parola chiara, ladro, e non deploràbile — come usa oggi, — offriva ai sùdditi una certa soddisfazione pel danno sofferto. In terzo luogo non si può negare che queste làpidi non costituìscano un coraggioso e insieme originale motivo di decorazione nei palazzi pùblici. È un sistema che si potrebbe riproporre.

E così avendo trovato in fondo ad una tasca una cordicella, mi misi allora a misurare le pìccole làpidi. Làpide del signor Bodù, m. 0,50 per 0,60; làpide del signor Pàulo Vivaldi, contador all’offìcio de dazio del vin, m. 0,58 per 0,80.

Ma in quel punto una mano fermò il mio bràccio e una voce mi disse:

— Cosa fa qui lei?

Era una guàrdia.

— Prendo le misure del signor Bodù....

— Vada, vada! Le misure le prendiamo noi.