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xv. - Vènezia e il trippàjo 159

alto, quadrato, sbarbato: come un maggiordomo di grande casa: dietro stava il suo calderone di terso rame; il suo grembialone era immacolato.

Toglieva dai fumosi bollori della caldàia un po’ di trippa nera, verde, biancastra, vìscida, reticolata, spugnosa; lasciava gocciolare meticolosamente, deponeva in una tortiera ben stagnata; e quivi tagliava con delicatezza di damina: rovesciava poi i pezzetti in una carta bianca, spargeva il sale ed offriva ai molti avventori che facevano coda. Sempre in silènzio! Ma forse non era mùtolo, e quando la schiera dei compratori si fu diradata, — Gran pulizia — dissi complimentando.

L’uomo parlava, con gravità; ma parlava.

Eh, sì, scior; gran pulizia a Venèzia! Senza pulizia, tripa no se vende a Venèzia!

— Trippa lessata come a Firenze?

Cognosso, son sta anca mi a Firenze. Ma a Firenze i vende soltanto tripa de bo: qui, a Venèzia, se vende carnami e tripa d’ogni sorte, e de tute le bèstie, piègore, montoni. Ma gran pulizia! — e così dicendo prese il forchettone e si apprestò a fornirmi una lezione di anatomia.