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Augusto imperator romano. Le sue chiome stillàvano ambròsia come quelle di Giove, con la mano pontificale segnava l’amministrazione del mondo.

A quanti re e cugini aveva egli rotta la testa? per quanto sangue era passato prima di ridurre il mondo in somma pace, e sedersi lui in pace su la sèdia d’avòrio? Ma ora Augusto non portava più corazza insanguinata, ma un càndido manto; non più elmo, ma una corona di alloro. Un bel sorriso ornava la maestà del suo volto, e diceva: «Guerre non più! Caso mai si farà la guerra per la conservazione della pace: guai anzi a chi disturberà la maestà della pace romana! Noi d’ora in avanti coltiveremo le lèttere, le arti e le scienze, e decoreremo il mondo di bellìssime istituzioni».

E presso di Augusto imperatore sedeva un giovanetto, càndido e gentile; un poeta di nome Virgilio; il quale gli traducea con infinita dolcezza le spaventose guerre, òrrida bella, dell’impero, cominciando dal sàvio Enea che venne da Troia, su su, sino al tempo nel quale lui, Cèsare Augusto, si chiamava semplicemente Ottaviano