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144 | viàggio d’un pòvero letterato |
Ma il vero è che io quella sera non avendo aspetto nè di cavadenti, nè di tenore, nè di proprietàrio di cavalli; e d’altra parte ricordèvole di quell’esasperante puvrèin, era molto incerto sul modo di entrare in città, e presentarmi ad un albergo.
Ora capisco tutta la tua intuitiva saggezza, egrègio giòvane della ditta Darük und Sohn che mi offristi così ùtili, benchè tardivi precetti, nella gita Bologna-Scaricalàsino!
Bisognava tuttavia escogitare un qualche espediente per isfuggire familiarità democràtiche. Mi venne in mente una deplorèvole finzione, e l’ho adoperata, quella sera.
Ho simulato cioè di èssere tedesco, svìzzero, che so io; tutto fuor che italiano: poche parole dure, sempre molto impettito, e mai sorrìdere, perchè il sorriso è la più pericolosa forma di dimestichezza.
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La càmera che mi fu offerta era una grande, bella e fresca càmera con buonìssimo letto.