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xiv. - Pècore e uòmini 141

re Alboino, dopo tanto cercare, vi trovàrono alfine la Marcolfa col figliuol suo Bertoldino: paesàggio immoto nelle età, attraversato adesso da questa carrozza di ferro, coi sedili imbottiti di velluto, il lavamano e le lampadine elèttriche.

Forse il pastore è necessàrio per gli uòmini.

Una gran tenerezza mi trascinava dal treno fuggente verso quei ruminanti: coperti di vello duro, brucanti gli odorosi mentastri, beventi acque pure, digerenti con quattro stòmachi: se non ci fòssero i lupi e i macellai, però. Curiosa stòria! Si legge dell’uomo questa cosa: che dopo aver trovato quella sua celebre definizione: cògito, ergo sum, ha poi desiderato di èssere come le pècore!

Strano è anche come i vecchi castelli, i vecchi borghi si confòndano con il colore delle rocce. Le torri sèmbrano ricami della terra: tutto si confonde nella terra.

Nelle curve si vede il treno che, ruggendo, si disvìncola dalle strette dei monti. La màcchina — a fissarla lungamente — sembra, con quel pennàcchio di fumo e quell’àlacre moto dei suoi