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140 | viàggio d’un pòvero letterato |
per le aèree pendici si vedèvano bianche pècore in piena pace pascenti.
Sotto il riparo di una schèggia, ecco due pastorelli si ripàrano dalla piòggia. Fanno con le manine «Addio, addio» al treno: sorrìdono: soli, piccini, tranquilli fra quei gran monti paurosi.
Ma le pècore, ma qualche màcchia più bianca lassù fra i querceti — èrano mucche e buoi — non lèvano nemmeno la testa.
Chi lo ha detto? San Paolo, mi pare; e di poi l’hanno ripetuto i padri della Compagnia di Gesù: «Gli uòmini sono pècore, e le pècore non potrèbbero salire al monte senza cozzare insieme sino a precipitare giù nel burrone, se il pastore, cioè la provvidenza, non le vigilasse».
Ma guardando quelle pècore pascenti non mi parve che esse avèssero bisogno del pastore. Esse brùcano oggi in divina pace fra questi monti; come trecento, come mille anni fa. Le nubi minacciose ed orlate di nero scèndono dal cielo; ed esse brùcano in pace!
Bello questo paesàggio aspro dell’Appennino: esso è rimasto forse come era più di mille anni fa, quando i messi di