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128 | viàggio d’un pòvero letterato |
gnorina non si muova, le rose thea stìano sedute: staranno loro, i sottotenenti e i tenenti, in piedi. Stanno in piedi: mòstrano ridenti bianchi denti.
Mi pare che la vògliano mangiare.
La graziosa pupàttola gira attorno la serenità dei suoi occhi idioti, e sembra dire: «Io mi lascierei anche mangiare. Ma come si fa?».
Oh, grosso signore, con gli occhi fuori della testa, proprietàrio o usufruttuàrio di quella adolescente femminetta, ringràzia il tuo santo protettore che noi viviamo in un tempo pieno di civiltà, perchè in verità, se vivèssimo in un’età primitiva, tu correresti un quarto d’ora un poco terrìbile.
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Ma che si aspetta per partire? Si aspetta il diretto da Roma. Ecco, arriva finalmente; strìscia, brùcia su le rotàie un lungo treno. Si ferma: il treno porta con sè tutto il vòrtice, tutta la pòlvere della lunga corsa per la deserta Maremma: la màcchina sembra bàttere i fianchi, anelare. Gridano i giornali di Roma: La Tribuna, Il Giornale d’Itàlia.