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xii. - Battistero, chiesa, cimitero! | 117 |
diò, in fatti, Giòsue Carducci, il quale fu come tu vuoi, o Minerva: cioè fu sapiente e fu guerriero: e anzi voleva che i professori fòssero i guerrieri della nuova Itàlia. Quando morì, l’hanno rivestito di abiti pontificali con gran riverenza; ed ora con grande irriverenza lo vanno spogliando anche delle fòglie del santo alloro. Minerva, Minerva immortale, non esiste più la immortalità?»
E mi appressai alla stàtua marmòrea. Ohime! Non era la divina armata Pàllade Atena. La stàtua era bensì loricata, ma non era Atena. Era uno dei tanti imbelli prìncipi medìcei, agli òrdini di casa d’Aùstria e di Spagna, che pittori e scultori vestìvano, nel Seicento, da guerrieri romani, sì che finìvano per essere creduti guerrieri veramente romani.
«Minerva, vedete — mi disse il sedentàrio personàggio marmòrio — ha l’inconveniente di inoculare la sapienza agitante. Qui si fàbbrica invece la sapienza riposante.»
Allora per la gèmina scalea di quella scuola mi parve di vedere salire e scèndere una quantità di contributi, saggi, ricerche, congetture: una spècie di un altro cimitero.