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La gente mi parlava pittorescamente del Mugello, del Giogo, e della Futa. Lassù avrei mangiato fràgole di bosco. Dal vàlico, per Barberino di Mugello, avrei raggiunto San Pietro a Sieve; lì avrei preso il treno, e in mezz’ora sarei stato a Firenze e di lì a Pisa. Non avevo mai visto il Mugello; ma ne avevo l’imàgine di un paesàggio composto ed adorno, come la prosa del Firenzuola. E il nome di Barberino di Mugello mi fece balzar fuori la Nència da Barberino, la quale, in realtà, era una contadina, ma quei versi di Lorenzo il Magnìfico che tanti anni addietro avevo sentito recitare, io direi divinamente, in iscuola dalla bocca amara di Giòsue Carducci, mi rifiorìvano alla memòria:

                                        I’t ’ho agguagliata alla fata Morgana,
                                        Che mena seco tanta baronia,

e me la trasfiguràvano: fata Morgana, così pròprio, che sorrise per breve ora nella mitezza del cielo toscano. Poi la realtà: la servitù della pàtria.