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il trionfo della penna d’airone 81

anch’io ero uno dei cento venti infelici, soggetti alla sua giurisdizione.

Levava il dito all’altezza della fronte, corrugava le ciglia e mi scatenava senza motivo un’esortazione morale preceduta da un «Macte animo! Principiis obsta! Cursus in fine velocior! Obœdite prepositis vestris! Seggendo in piume in fama non si vien nè sotto coltre ecc.! Itala gente, se virtù suo scudo su voi non stende libertà vi nuoce!»

Il raccomandatario con la zucca pelata e scoperta, chiosava sorridendo e sorbendo il dolce e la saggezza di quelle parole che evidentemente formavano parte degli annessi e connessi all’ufficio di rettorato, per rendersi meritevole del ventisette del mese.

Per mio conto, senza giungere allora tanto in là, sentivo un odio implacabile quanto ingiusto contro Ovidio, Orazio, il Petrarca, contro tutti questi poeti e filosofi, divenuti carabinieri ed aguzzini al servizio del rettore. Il quale con uno schiaffetto episcopale mi accomiatava.

«Attento alle cose dette!» ammoniva il raccomandatario con segreta significazione, e si riferiva alla Republica, genitivo rei publicæ.

Con le dame che venivano poi in ritardo il Principiis obsta, e il Macte animo! erano detti con un tuono tale che tutta la colpa era di Ovidio e di Orazio: gli inchini erano inoltre così profondi, le parole di indulgenza così convinte che non si avvedeva degli enormi contrabbandi