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78 | i trionfi di eva |
nus diventerà anche Sutor e gli porterà un abito nuovo nel giorno di visita.» A me delle macchie e dei castighi importava poco oramai: era l’idea che mio padre doveva lavorare di più per farmi i calzoni o la giubba nuova, quella che mi faceva fremere in segreto; sempre in segreto e mandare giù, e studiare, giacchè Corame studiava e vinceva con la rassegnazione e con la pazienza — armi terribili — quella crudele protervia. Le vendette lasciarono il posto alle imposizioni, alle prestazioni servili: «Corame, dammi il lavoro di latino, dammi da copiare il problema» e così via, e Corame ubbidiva.
Le sole varianti in questa vita uguale di otto anni erano le uscite col detto raccomandatario. Buon diavolo di maestro, carico di figliolini piccini e di compiti da correggere, che era una pietà.
Lui passava il mese d’agosto in campagna dai miei, e per compenso mi veniva a prendere nei giorni dell’uscita, Pasqua, Natale, Statuto, ecc. Il buon uomo, per pagare il debito di ospitalità, si credeva in obbligo di riversarmi a dosso un supplemento di buoni precetti morali e pedagogici. In verità io non ne aveva bisogno ma egli affermava che melius est abundare quam deficere.
Insisteva poi con specialissime cure nell’estirpare un mio grave vizio, quello di essere republicano. Già, in collegio io acquistai il titolo di