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il trionfo della penna d’airone 77

mi fece ammirare un superbo paio di scarpettine da inverno.

Quando risalimmo in camerata — gli altri a gruppi rumorosi e con gli scroscianti cartocci dei dolci — io, solo, tenendo in mano quelle povere fatali scarpe, il mio sopranome era già formato.

Mia madre venne chiamata la ricottara, mio padre Crispinus ed io Corame.

La scoperta di questi tre nomi li divertì moltissimo per vari giorni: ma io versai molte lagrime segrete che nessuno asciugò e perciò esse, seccandosi, hanno formato quella durezza che si chiama odio. Per molte notti pensai: io rividi il campo del grano nel sole, il pergolato, l’orto ricco di maggiorana dove lavorava mio padre: rividi la fonte dell’acqua viva, la siepe di spino bianco dove mia madre stendeva i lini ad asciugare, cantando, e mi domandai: «Perchè mi strapparono dall’amorosa terra? Perchè tutti questi libri?» Ma il mio raccomandatario, umilissimo uomo anche lui, mi assicurò in segreto, come fosse un mistero, che da quei libri bene ismossi, come già i figli del vignaiuolo nella favola ellenica, avrei trovato il tesoro. Tesoro non so, ma vendetta, certo! E inghiottii le lagrime e stetti attento sui libri. E allora cominciò la persecuzione terribile e stolta: «Sporca il libro a Corame! Butta la palla, intinta di inchiostro, sugli abiti di Corame, così suo padre da Crispi-