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38 | i trionfi di eva |
tiamo a noi l’infezione terribile della sventura senza liberare l’infermo. Credete a me!
— Eppure — replicai io — Platone e Socrate prima di Cristo dissero e scrissero: «bisogna dare altrui parte delle proprie gravezze.»
— Visionari, mio caro, non tanto Socrate e Platone e Cristo quanto voi. Essi avevano un gran tempo da perdere e davanti una vita eterna, o almeno erano convinti di averne, il che fa lo stesso. Quindi potevano sacrificare in oziose ricerche questa vita reale per l’acquisto dell’altra vita ideale. Noi no, assolutamente. Noi abbiamo i nostri affari, limitati a breve scadenza di tempo. E poi a quest’ora in cui le cellule del cervello dovrebbero riposare, è terribile cosa affaticarsi intorno a queste vane questioni. Più tosto affrettate il passo giacchè il letto quando il sole si alza non è ospite così benigno come quando il sole tramonta.
Il cielo infatti schiudeva la sua palpebra grande in oriente, sul mare, e una luce gialla era sospesa nell’aria. Andavamo lunghesso il viale. In fondo il mare era d’una bianchezza lattiginosa. Le betulle e i tamarischi erano ancora addormentati chè il fremito dell’alba non li aveva destati ancora.
Il nostro passo suonava chiaro in quel silenzio, lungo la minuta ghiaia del viale che conduce al mare, quando un suono stridulo e pazzo ci percosse, e da presso: e quasi nel tempo medesimo apparve un gruppo di gente, e avanti