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il trionfo di puccìn | 271 |
una seggiolina, Puccìn badava silenziosamente alla sua bambola miserabile e spelata.
Di quando in quando — però — la coglievano dei frulli di bizzarria. Correva di stanza in stanza spalancando gli usci e fermandosi in attitudine di reginella imperiosa su le soglie.
La qual cosa si poteva interpretare, o come un bisogno di maggior spazio o come un’affermazione della sua proprietà.
Così pure ogni tanto si affissava nel vuoto, cercando nelle chiuse stanze ciò a cui la sua pupilla era abituata: il verde dei campi, l’azzurro dei cieli.
«Bù! bù!» faceva ogni tanto, e forse chiamava per reminiscenze il buon cane fedele; o imitava per suo conto i buffi della vaporiera che sull’alto terrapieno fuggiva presso la villa di Piero Medici.
Ma poichè il cane più non appariva e la vaporiera non passava sbuffante nel verde e nell’azzurro, così Puccìn docilmente ritornava alla sua misera bambola.
Puccìn, sì, per sempre Puccìn!
— Come ti chiami bella bambina? — le chiedevano quelli di casa facendole intorno corona.
— Puccìn!
— No! il tuo nome è Giuseppina Crosio.
— No! Puccìn! — ed era solo per questo che Puccìn diventava rossa di rabbia come un galletto. Voleva che le fosse serbato il nome che Piero e Nena, i buoni villani, le avevano imposto.