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il trionfo di puccìn 269

ignota che così tutto rinnova e così dispone le vere leggi della Vita!

Almerigo Crosio prese presso di sè Puccìn, se la ricoverò fra le braccia e la baciò a lungo, a lungo, e ripetutamente, provando come un refrigerio delizioso nel contatto di quelle fresche carni che pareano come un riflesso di una freschezza interiore.

Così il viandante arso dalla caldura, roso dalla polvere, fatto bruto dalla fatica, guarda le chiare acque sorgive e sente la voluttà di sommergervisi.

La riguardò a lungo, e da quel volto venivano fuori delle reminiscenze di sè; anni molto lontani, quando egli, Crosio, sedeva in grembo della madre sua!

Puro il mattino, soli nel treno: il treno correva con non so quale festività leggiera.

E Puccìn incominciò: cominciò una serie di domande complicate, difficili, insistenti, strane, alcuna volta paurosamente profonde e senza possibilità di risposta.

Tutti i bimbi quando nel fenomeno luminoso cominciano a distinguere il sole, le piante, gli animali, fanno di simili paurose domande: paurose perchè pare che un’immane anima filosofica si desti in sì gracile corpo!

Una sola domanda non venne, questa: «Perchè, caro padre e cara madre, mi avete messa al mondo? ci avete pensato razionalmente, signori genitori?»