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266 | i trionfi di eva |
preso per mano la moglie: — Andiamo, via, andiamo! — e si erano allontanati prima che il treno si movesse.
Ora, fuggendo il treno, si videro per qualche istante i due balii che si allontanavano curvi, lungo la via bianca, senza più voltarsi.
— Il zio Piero e la zia Nena — disse Puccìn con l’abituale sua placidezza, additando.
— Ci volevi bene?
— Oh sì, Puccìn ci vuole tanto bene!
Ma Puccìn in quell’istante era molto occupata ad osservare la nuova e instabile dimora dove si trovava.
Le scosse del treno trasportavano Puccìn da un punto del cuscino ad un punto del cuscino opposto. Spesso le movenze erano comiche: il bianco del grembiulino davanti, lo scarlatto della vestina di dietro, l’onda dei capelli, agitati dalle scosse, apparivano ogni tanto, e ogni tanto le pupille si rivolgevano attonite, più che interrogative, per domandare:
«Ma, caro signor padre, come va tutto questo che qui non si sta mai fermi? è così instabile ed inquieta la nuova dimora?»
Il padre, Almerigo Crosio, seduto in un angolo, guardava.
Guardava Puccìn, cui il treno faceva ballare una curiosa ridda, e questo pensiero diabolico si delineò nella mente di Almerigo Crosio: così, ecco: «lasciare aperto lo sportello opposto: atten-