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22 | i trionfi di eva |
lui me, e quindi io lui; e molte volte l’alba ci sorprese in queste scambievoli cortesie.
Le ville in quella notte soave dormivano bianche al lume lunare dietro le pareti delle betulle e le siepi dei tamarischi; quando ne attrasse un vivo bagliore che proiettava fin sulla strada. Tutte le finestre a pian terreno della magnifica villa affittata dall’americano, erano illuminate sfarzosamente.
— Solita baldoria! — dicemmo all’unisono, quando d’improvviso la gran vetrata di mezzo si spalancò con violenza e un uomo ne uscì: dietro, il cameriere in marsina.
— Si metta il cappello almeno, signor marchese — disse la voce del cameriere che giunse distinta sino a noi.
Era lui, il marchese Clodio.
Nel fascio della luce la sua figura in sparato bianco e giacchetto nero, apparve distinta: rotolò gli scalini della villa; scomparve nella macchia di alcuni alti arbusti. Poi più nulla! Il cameriere richiudeva le vetrate tranquillamente.
Noi ci arrestammo.
Dopo qualche minuto lo vedemmo riapparire: attraversò, barcollando, il giardino, varcò il cancello, uscì sulla strada dove eravamo noi, barcollando pur tuttavia come persona ferita, che cerca ove posare. Ad un certo punto, mentre noi meravigliati osservavamo la nuova scena, non resse più e cadde di botto. Allora accorremmo.