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204 | i trionfi di eva |
libri da cui veniva circondato, mi sollevava, mi dondolava la mano, e infine mi permetteva di stringerla: — Che cosa stai facendo di bello anche tu qui? Oh, bravo, bravo, bravo! — il che tradotto in lingua semplice voleva dire: «adesso vàttene!»
Ed io me ne andavo al mio posto.
Questa speciale benevolenza mi era in certo modo dovuta perchè a quattordici anni io avevo avuto l’onore di sedere accanto a lui sui banchi della scuola dove egli fin da allora faceva strabiliare persino il maestro snodando a memoria tutta la filza dei verbi greci irregolari; e da allora andò sempre più avanti, diventando sempre più brutto, sempre più giallo, sempre più ostinato nella sua cocciuta volontà di riuscire un grande uomo finchè diventò un vero grande uomo, uno di quei pochi, sì, ma indispensabili grandi uomini destinati a sostenere la macchina dello Stato: uno cioè (le mie parole non paiano malevole e sarcastica iperbole) di quei grandi uomini a tipo regolare e mediocre, debitamente sterilizzati ed enervati che sono un prodotto tipico, un esponente-indice della civiltà contemporanea. Enervati e sterilizzati delle qualità eroico-geniali come sarebbero l’indignatio, la magnanimitas, la θεῖα μανία, il furor sacer, ed altre qualità consimili le quali costituirebbero un tipo umano assolutamente inadatto ed incompatibile col tempo nostro. Non è vero questo che io dico?