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16 | i trionfi di eva |
del franco per mancia al caffè, che aveva al suo servizio un cuoco che nessuno capiva ma che sfiorava tutto il mercato pagando a marenghi senza tirare un centesimo, passava per l’amante di lei, il marito di Clodio.
Questo jankee, massiccio, rossiccio, brutale nella sua parvente compitezza di gentiluomo, non parlava che il francese. Di italiano sapeva solo queste parole: io so, io capisco! Quando qualcosa lo contrariava, quando i regolamenti, le leggi, il costume, ecc., sembravano opporsi alla sua sconfinata libertà di far tutto il suo comodo, soleva dire: io so, io capisco: apriva il portafogli e tutti lo capivano.
Proposizione elittica che voleva dire: «Io so, io capisco che voi siete un popolo di straccioni: io appartengo ad un popolo di miliardari: troppo giusto: io so, io capisco che bisogna pagare.»
La malignità e la maldicenza erano giunti a tal punto che correva la voce avere ella detto che saltato che fosse l’ultimo biglietto da mille, andrà a Parigi a cominciare una vita nuova di avventuriera. Lui andrà come agente dell’americano a Nuova York.
I figli — giacchè hanno due piccini — li ritirerà la madre di lui fino all’età di entrare in collegio. Come siano sorte tali voci nessuno lo sa. Certo è che tutti compiangono i due piccoli, futuri derelitti di questa famiglia in prossima liquidazione. Se la governante che li accompagna