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il trionfo di nadina 157

tutta la notte tra le insonni coltri. Nausea non per le imagini impure viste la sera. «Impure?» parevano domandare brutalmente gli occhi grifagni dell’uomo, «ma a quale altro ufficio vi ha consacrate Natura quando rivestì di tanto fascino e di tanta bianchezza, di tanta deità le carni miserabili destinate — ultimo tributo fatale — alla terra?»

Miserabili ipocrisie!

Nausea materiale piuttosto, nausea strana di quella vita artificiosa in cui da mesi era trascinata, nausea presso a poco consimile a quella provocata dai cibi che le erano ammaniti sulle splendenti mense, cibi irriconoscibili, disfatti, putrefatti in salse eccitanti, che lasciavano inerte il dente e lo stomaco: nausea per quegli uomini tuffati, sommersi in una gelatina di convenzioni, di cerimonie, di lascivia insieme, senza mai uno scoppio di passione, senza che un grido d’amore redimesse o compensasse quel orribile, nauseabondo, continuo «quanto valete?».

Nausea sopratutto di sè, che pur ripudiando tutto il suo passato di semplicità, di modestia e di lavoro, non avea il coraggio di tuffarsi nel vortice di quella vita che da mesi e mesi le faceva irresistibile invito: nausea del languore e del torpore che la possedeva come un lento e voluttuoso narcotico.