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Socrate per le vie di Atene 67

gelatinoso, tutto maculato e a bitorzoli; ma guai a chi lo tocca: dà una scossa e fa cader nel torpore. Così la parola di Socrate faceva cadere l’anima in un divino torpore.

Bisognava chiamarsi Anito per rimanere insensibili!

Ma il bell’Alcibiade aveva un paragone anche più folgorante e superbo. Egli diceva: «Tu, o Socrate, sei come un Sileno, buffone al di fuori con zampogne e con flauti in mano; ma divino dentro tu sei, e tutto pieno delle terribili imagini dei Numi».

Oh, incredibile paragone! Dunque attraverso la corporalità materiale di Socrate intuivano quei giovani alcunchè di divino e di terribile? Sì! Essi, attraverso la mobilità irrequieta dei gesti e delle parole di Socrate, vedevano una